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Gioacchino da Fiore

gioacchinoGioacchino da Fiore (Celico, 1130 circa – Pietrafitta, 30 marzo 1202) è stato un abate, teologo e scrittore italiano, già venerato come beato dalla Chiesa cattolica (da parte dei florensi e dei gesuiti Bollandisti).

Biografia

Origini e formazione .

Le condizioni economiche della famiglia di Gioacchino erano agiate, il padre Mauro infatti era tabulario o notaio. In passato si era ritenuto che la famiglia avesse origini ebraiche, forse per spiegare l'atteggiamento benevolo di Gioacchino nei confronti dell'Ebraismo.
Gioacchino nacque a Celico, la casa natale viene collocata storicamente dove sorge attualmente la Chiesa dell'Assunta, edificata sicuramente prima del 1421 sul perimetro della casa natale dell'Abate Gioacchino. Ricevette le prime nozioni di educazione scolastica nella vicina Cosenza. Ben presto fu mandato dal padre a lavorare, sempre a Cosenza, presso l'ufficio del Giustiziere della Calabria. A causa di contrasti insorti sul posto di lavoro, andò a lavorare presso i Tribunali di Cosenza. In seguito il padre riuscì a fargli ottenere un posto presso la Corte normanna a Palermo, dove lavorò prima a diretto contatto con il capo della zecca, con i Notai Santoro e Pellegrino ed infine presso il Cancelliere di Palermo l'Arcivescovo Stefano di Perche. Entrato in disaccordo anche con Stefano si allontanò definitivamente dalla Corte Reale di Palermo per compiere un viaggio in Terrasanta.


Gli inizi

Forse nel corso di questo viaggio maturò un profondo distacco dal mondo materiale per dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture. Al ritorno in patria Gioacchino si ritirò dapprima in una grotta nei pressi di un monastero posto sulle falde del monte Etna, poi tornò con un suo compagno a Guarassano, nei pressi di Cosenza. Qui fu riconosciuto e costretto ad incontrare il padre, che lo aveva dato per disperso. Al padre confessò di aver smesso di lavorare per il re normanno per servire il Re dei Re (Dio).
Egli visse circa un anno presso l'Abbazia di Santa Maria della Sambucina, da cui si allontanò per andare a predicare dall'altra parte della valle vivendo nei pressi del guado Gaudianelli del torrente Surdo, vicino Rende.
Poiché al tempo la predicazione di un laico non era ben accetta, Gioacchino compì un viaggio fino a Catanzaro, dove il Vescovo lo ordinò sacerdote. Durante il tragitto da Rende a Catanzaro si fermò nel monastero di Santa Maria di Corazzo, dove incontrò il monaco Greco che lo pose davanti alla parabola dei talenti, rimproverandolo di non mettere a frutto le sue doti. Tornò a predicare nuovamente a Rende, con l'abito di sacerdote. Poco tempo dopo vestì l'abito monastico entrando nel monastero di Santa Maria di Corazzo. Questa abbazia benedettina, guidata dal beato Colombano, aspirava a seguire la regola cistercense.


Elezione ad abate

Secondo le fonti più accreditate, nel 1177 Giovanni Bonasso venne eletto abate di Santa Maria di Corazzo, ma rinunciò scappando dapprima nel monastero della Sambucina, poi nel monastero del legno della croce di Acri. Gioacchino non ambiva a diventare abate, ma a studiare le Sacre Scritture. Gli uomini più potenti di quel tempo, riunitisi con lui a Sambucina lo convinsero ad accettare la carica di abate di quel monastero, all'epoca poverissimo. A Corazzo l'abate Gioacchino cominciò a scrivere la prima delle sue opere, La Genealogia, impiegando come suoi scribi frate Giovanni e frate Nicola.
Teologo e scrittore[modifica | modifica wikitesto]In qualità di abate compì un viaggio nell'Abbazia di Casamari tra il 1182 e il 1184. Durante questo periodo incontrò il Papa Lucio III che gli concesse la licentia scribendi. Con l'aiuto degli scribi Giovanni, Nicola e Luca iniziò già a Casamari la stesura delle sue opere principali: la Concordia tra il vecchio e il nuovo testamento e l'Esposizione dell'Apocalisse. In quello stesso periodo Gioacchino interpretò innanzi al Papa una profezia ignota, trovata tra le carte del defunto cardinale Matteo d'Angers. Da qui scaturì l'incoraggiamento del Pontefice Lucio III a scrivere le sue opere.
Nel 1186-1187 si recò a Verona, dove incontrò il Papa Urbano III. Al ritorno si ritirò a Pietralata, una località sconosciuta, abbandonando definitivamente la guida dell'Abbazia di Corazzo. I suoi monaci non tollerarono il suo girovagare e lo stare sempre a distanza dall'abbazia, pertanto fecero una petizione per risolvere la questione presso la Curia Romana. A seguito di ciò, nel 1188 ottenne l'affiliazione dell'abbazia di Corazzo all'abbazia di Fossanova e il Papa lo prosciolse dai doveri abbaziali autorizzandolo a continuare a scrivere.


Pietralata e Protomonastero di Fiore Vetere

Lo stesso argomento in dettaglio: Abbazia Florense.A Pietralata, da lui ribattezzata Petra Olei, cominciarono a pervenire molti seguaci. Il primo fu Raniero da Ponza, che in seguito fu legato apostolico in Francia e Spagna sotto Papa Innocenzo III. Pietralata divenne presto un luogo incapace di ospitare la moltitudine di gente che accorreva a sentire Gioacchino, pertanto nell'autunno del 1188 Gioacchino salì in Sila alla ricerca di un territorio che si potesse abitare. Dopo varie perlustrazioni si fermò nel luogo oggi denominato Jure vetere Sottano, attualmente nel comune di San Giovanni in Fiore. A sei mesi di distanza dalla perlustrazione abbandonò Pietralata e si trasferì con i suoi discepoli in Sila sul luogo prescelto. Pietralata è un luogo avvolto nel mistero e ancora oggi non identificato con sufficienti certezze.
Dopo sei mesi dal trasferimento il re Guglielmo il Buono morì e subentrò sul trono normanno Tancredi, già conte di Lecce. Furono proprio i funzionari di Tancredi a contestare a Gioacchino l'insediamento in Sila, per cui l'abate dovette recarsi a Palermo (primavera 1191) per conciliare con il nuovo re. Dopo un complesso confronto tra i due, durante il quale Tancredi propose all'abate di trasferirsi presso l'abbazia della Matina «allora in stato di grave declino» (proposta rifiutata in maniera decisa da Gioacchino), gli fu concesso di restare in Sila, sul luogo prescelto, facendogli dono di un vasto tenimento posto nelle adiacenze, aggiungendo 300 pecore e 30 some di grano, per il sostentamento della comunità religiosa. Da qui in avanti cominciò a costruire il protomonastero di Fiore Vetere.
Nel 1194, dopo la morte di Tancredi subentrò nel regno Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, il quale concesse a Gioacchino un vasto tenimento in Sila e privilegi sovrani su tutta la Calabria.


La Congregazione florense

Lo stesso argomento in dettaglio: Ordine Florense e Florensi.In questo periodo, dopo il diploma concesso da Enrico VI, Gioacchino fondò i monasteri di Bonoligno e Tassitano, e acquisì altri monasteri già italo-greci. Forte del patrimonio terriero ed ecclesiale acquisito, Gioacchino si recò a Roma ricevendo da Papa Celestino III l'approvazione della Congregazione florense e dei suoi Istituti il 25 agosto del 1196.
I florensi continuarono a colonizzare il territorio assegnato e, affinché Fiore venisse articolato secondo lo schema della Tav. XII, misero a coltura i territori di Bonolegno e di Faradomus, facendosi aiutare molto probabilmente da gruppi di laici che condividevano il progetto del novus ordo. Pertanto, con le acque del fiume Garga, attraverso il canale cosiddetto badiale, fecondarono dapprima Bonolegno e poi Faradomus. Da qui insorsero delle liti con i monaci greci del monastero dei tre fanciulli, ubicato in prossimità di Caccuri, che contestarono ai florensi l'occupazione di territori che secondo loro detenevano da tempi immemorabili. I poveri florensi furono bastonati, malmenati e gli edifici in costruzione distrutti. Tuttavia l'azione di costruzione dell'insediamento non si fermò, fintanto che l'abate rimase in vita.
Gioacchino morì il 30 marzo 1202 presso Canale di Pietrafitta  e fu seppellito nel monastero florense di San Martino di Canale. Il suoi resti furono traslati nell'abbazia di San Giovanni in Fiore verso il 1226, quando la grande chiesa era ancora in costruzione. L'abate Matteo (Vitari), successore di Gioacchino, continuò l'opera ampliando le fondazioni florensi; nel periodo del suo abbaziato (1202-1234), l'ordine florense vantava oltre cento filiazioni, tra abbazie, monasteri e chiese, ognuna dotata di ampi tenimenti-tenute e possedimenti vari, sparsi in Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Toscana e rendite che provenivano anche dalle lontane terre di Inghilterra, Galles e Irlanda.